Una lettera. A me.
A quella me che ha sbagliato, sempre e alla grande. Ma quella volta un po’ di più.
Per dirmi che mi perdono del male che mi sono fatta e del male che mi sono lasciata fare, per aver creduto sempre di non essere abbastanza.
Mi perdono per essermi fidata quando non c’era da fidarsi e per aver avuto paura quando invece serviva il coraggio.
Quando ho urlato per farmi vedere invece di scegliere il silenzio, quando non ho voluto attraversare quel dolore e lui era sempre lì, fedele, fino a che non gli ho dato voce.
Mi perdono per i singhiozzi strozzati, per aver detto “non importa” quando importava, eccome.
Per le volte che ho perso la via, preso deviazioni infinite senza mai arrivare al punto. Perché al punto c’ero solo io e la mia, maledetta, solitudine.
Una lettera. A me.
A quella me che ha creduto che per essere amata bisognava non dare fastidio, non piangere, non urlare, non avere più voce. Tenere tutti lontani perché se ami qualcuno, stai sicuro che quel qualcuno ti ferirà. Prima o poi.
Per dirmi che mi amo. Non sempre, ma a volte sì.
Mi amo per la strada fatta, gli errori commessi, per i sogni che ho avuto il coraggio di dire ad alta voce, per i sorrisi, le lacrime, le risate sguaiate e gli abbracci stretti. Che vado bene così: assolutamente imperfetta e meravigliosamente umana.
Una lettera. A me.
Per dirmi le parole più gentili che so. Sono qui, ci sono.
E che l’amore è questo, alla fine. Darsi al vento, nudi, a prendere il sole e la pioggia e, a volte, anche il gelo dell’inverno. Che la notte fa paura, ma va attraversata per poter vedere sorgere il sole, che la solitudine non necessariamente è un male e il silenzio può essere un dono.
E, oggi, finalmente, rido e piango e ascolto il mare in tempesta, il silenzio dell’alba, le luci della città, le stelle bellissime e assurde, la luna rossa, piena, le nuvole che si colorano, la musica, le voci di chi amo, i sogni nascosti da fare vedere a chi voglio io. I segreti, i messaggi d’amore, le parole belle, i sorrisi, le lacrime consolate, gli abbracci stretti e le cadute tutte. Leggo poesie, libri, gli occhi della gente e mi innamoro dei bambini e dei cani.
Ascolto il vento, la risacca, le paure e la rabbia. La solitudine tanto temuta e l’amore, splendente. Le amiche e gli amici. Elio, Dario e Leo. E me.
Questa è la vita che ho vissuto finora. Una vita bellissima e piena di errori. Anzi, una vita bellissima perché piena di errori.
Le persone più sveglie che conosco
sognano di continuo.
Le persone più sane che conosco
fanno cose assurde, avventate, senza senso.
Le più intelligenti
parlano che le capiscono anche i bambini,
le più forti è un sussurro la loro voce,
le più serie ridono, ridono sempre.
Le più giuste hanno fatto errori che non si aggiustano,
e le più vive, le più vive, sono morte tante volte:
e ogni volta, poi, di nuovo
di nuovo sono nate.
Enrico Galiano