La tristezza in Gestalt (e nella vita)

Le emozioni di base in Gestalt sono 4: paura, rabbia, gioia e tristezza.

Oggi parleremo di quest’ultima: la tristezza.
Noi tutti la sentiamo e la proviamo, a volte con un’intensità tale da togliere il fiato, per arrivare a picchi intensi di dolore che sembra, o forse realmente è, insopportabile. Altre volte assume una sfumatura più lieve e vivibile, con tratti – quasi – di piacere: è quella che chiamiamo malinconia.

Ma cosa ci succede quando ci sentiamo tristi?
In passato, gli antichi Greci celebravano il dolore con le tragedie. Un dolore enorme e pubblico, da tutti riconosciuto. La religione cattolica fa del dolore e della capacità di affrontarlo con coraggio la sua più alta fede.
Ma noi, oggi, qui?
Poveri esseri umani sperduti in questa società con confini sempre più fluidi e richieste sempre più elevate, come viviamo la nostra tristezza? Il nostro dolore? Quale posto gli diamo nella nostra vita frenetica e performante?
Dove apparire conta più che essere e dove la felicità è data per scontata, come se si potesse comprare.

La tristezza è un’emozione di base.
E come tutte le emozioni di base non è né giusta né sbagliata, ma semplicemente è.
Noi tutti l’abbiamo sperimentata nella nostra vita, forse già da bambini, sicuramente da adulti.
Ma com’è che la rifuggiamo così attivamente? Com’è che non ci concediamo mai il permesso di dire a noi stessi e agli altri: “Sono triste”?

Ci hanno insegnato che la felicità è alla nostra portata, che se lo vogliamo possiamo ottenere tutto, che se qualcosa non va bene per noi, possiamo cercare e scegliere altro. Ed è vero. Tutto vero.
Si sono dimenticati di dirci, però, che in questa strada verso la ricerca di noi stessi e della nostra felicità, ci sentiremo anche tristi, a volte.

Tristi, soli, vuoti e privi di speranza.
Quando qualcuno che amiamo ci lascia, ci tradisce o, purtroppo, muore. Se ci capita qualcosa di brutto o capita alle persone a cui vogliamo bene. Se le cose non vanno come avremmo sperato e se qualcuno a cui teniamo ci delude o se siamo noi a deludere qualcuno…

La tristezza esiste quindi, questo è certo, ma ci siamo dimenticati che è normale provarla.
Senza non saremmo umani. Umani e fragili, certo, ma anche pieni di desideri, speranze e sogni ancora tutti da realizzare.

La tristezza cerca parole con cui esprimersi, parole scelte con cura e amore.
O forse cerca silenzi e una presenza, muta e vicina, a chi soffre.
Non un fare, né un frenetico farneticare, non un brusio che distoglie, ma un’attenta concentrazione a sentirla, tutta e fino in fondo. Non ci sono antidoti alla tristezza, né magici rimedi, c’è solo uno stare in un’emozione che è e che ha tutto il diritto di essere.

La tristezza, il dolore, chiedono di essere visti, ascoltati, e dopo, solo dopo, ci permettono di tornare a respirare. A prendere fiato come alla fine di una lunga corsa in apnea. La tristezza e il dolore non passano, non subito almeno, ma possono essere condivisi, accolti, raccontati, oppure ascoltati in silenzio.

Con amore. Ecco, sì, questo è forse l’unico rimedio alla tristezza e al dolore: l’Amore.

Spesso noi cerchiamo di reprimere la tristezza e il dolore e li schiacciamo giù in fondo, sperando così di non sentirli più. Tornano, invece, prepotenti, a bussare alla nostra porta e a chiedere di essere ascoltati.

Quanta fatica nel nascondersi, quando, forse, il coraggio più grande di tutti sarebbe riuscire a dire “Sono triste, oggi, resti con me per un po’?”

Perché come scrive Chandra Livia Candiani :

“Non è proibito volere la tenerezza, volersi unici per qualcuno, chiedere: “mi vuoi bene?” è come chiedere: “ci sono per te? Sono al mondo? Resti con me, a fare mondo insieme?” Che male c’è?

Purtroppo abbiamo il mito dell’autonomia, dell’orgoglio, del faccio tutto da me.

Io ho bisogno degli altri e questo bisogno mi fa paura, ma lo sento lo stesso. Siamo interdipendenti, come lo è la pioggia dalla terra e dalle nuvole, come gli alberi dalle radici e dal cielo, come gli animali dal bosco e dagli altri animali, come tutto fa parte di tutto.

Un lavoro a maglia è l’universo e ognuno di noi è un punto: che male c’è, se chiediamo all’altro punto, di fare maglia insieme?
Se non lo facessimo, al nostro posto, ci sarebbe un buco”.

Un buco pieno di tristezza. Quando, invece, possiamo essere maglia insieme. Anche nel dolore.

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