Invecchiare

“Con gli anni che passano sei sempre più bella” mi hanno detto. E, incredibile, io ci credo.

È qualcosa che ha a che fare con l’amore per me. Che non è sempre stabile, né sempre presente, ma esiste – a tratti – e mi fa dire che sì, sono la sorella gemella di Gad Lerner (non me ne volere Gad, ma è così), sì, sono piena di rughe e di cedimenti di vario tipo (compresi quelli di testa), eppure mi sento bene.

Bene. Con me stessa. Come mai, forse, mi sono sentita.
Mi piacciono questi occhi sghembi che per venire bene in foto ci vuole un colpo di fortuna, questi denti larghi di cui mi sono vergognata così a lungo da non sorridere se non con le mani davanti alla bocca, questi rotolini di ciccia del mio corpo che non è più magrissimo come qualche anno fa. Questo naso ingombrante che Gargamella in confronto è un profilo greco, questa pelle che si assottiglia e si screpola, questi molteplici difetti che vedo tutti, anche quando non vorrei.

Eppure mi piace. Essere imperfetta e meravigliosamente umana.

Mi piace questa nuova mia democrazia interna, in cui coesistono il giorno e la notte, la dolcezza e la rabbia, la determinazione e la voglia di lasciarsi cullare da altre braccia. Il desiderio che mai si placa e la sazietà del cuore di fronte a un niente (che poi, io lo so, che niente non è).

Questo rallentare il passo a livello di obiettivi da raggiungere, vita da prendere a morsi. Stare dalla parte di chi è caduto, accarezzare le ferite, comprese le mie, darsi il tempo e, ogni tanto, urlare. Ballare fino a non avere più il fiato, ammirare i tramonti, ascoltare gli uccellini che cinguettano, augurare la morte alle maledette cavallette.

Sognare a occhi aperti, essere consapevole che certe cose per me non accadranno più, ma ne arriveranno altre. Sono pronta.

Pronta a questa vita non più in salita, ma in una lenta discesa a scoprire chi sono davvero e per quale motivo sono a questo mondo. Non mi sento più invulnerabile, anzi. Non sono mai stata così vulnerabile. E mi piace quando riesco a farlo vedere agli altri.

Sono fragile, come può essere fragile un cuore che ama che magari si spezza. Ma, ora lo so, è dalle crepe, dalle cose imperfette e sbeccate che passa la luce. E come nel Kintsugi mi sento di versare oro in ogni crepa. E così, piena di oro e indaco, vago per le strade di questa mia vita sghemba.

I sogni, gli amori, gli errori. Tutto fa parte di me. Tutto. Va bene così.
E allora sì, mi sento bella – a tratti – che alla fine la bellezza che si vede forse è quella che esce fuori da dentro. Con tutta la sua complessità e il suo darsi e riaversi, nascondersi e mostrarsi. In un gioco continuo che poi è la vita. Ecco, sì, mi sento viva.

Viva, in questo tempo sospeso, in cui il mare è la cura di ogni – mio – male e la scoperta di sé e degli altri è l’unico viaggio che valga la pena. Viva, con il mio senso di inadeguatezza che la cellulite non sarà mai debellata e le rughe avranno la meglio (sto cominciando a dirmi che è decoroso invecchiare con grazia, vedremo se saprò anche convincermi). Triste, affranta, sola, impaurita a volte, ma viva.

Mi troverete qui.
Tra i miei sogni appesi a prendere il sole che dentro il cassetto non li voglio più.
Qui.
In questo lembo di terra e in questo spazio minimo di vita che mi è stata regalata.

A dire grazie. Grazie. Grazie. E ancora grazie.
Alla vita, ai miei genitori, a me. Al sole che sorge ogni giorno, alla luna che illumina la strada. Alle stelle che sono milioni di milioni. A Leo, a Elio e a Dario, senso di un tutto che rimarrà anche quando sarò solo cenere e polvere.

Sì, invecchio. E sì, forse divento più bella o forse non mi interessa più così tanto.
Certo è che continuo a assomigliare – terribilmente – a Gad. Ah, che meraviglia la vita…

Grazie per le foto a Samuele Bignardi che è riuscito – incredibilmente – a non farmi assomigliare (troppo) a Gad. E grazie anche a Cinzia e Claudia, per il solo fatto di esistere e per tutto l’amore.

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