Le emozioni di base sono 4: gioia, rabbia, dolore e paura.
Noi tutti le proviamo e possono assumere sfumature diverse. La gioia ha la sfumatura della felicità, dell’amore, del piacere, della sessualità, del senso di appagamento che sento – a tratti brevissimi – di fronte alla meraviglia della natura e del genere umano.
La rabbia è difesa del territorio e conquista. La sento quando provo fastidio, frustrazione, quando cerco di conquistare un ragazzo/ragazza, quando dico no, quando mi metto di impegno per ottenere un risultato desiderato. La rabbia è anche determinazione e volontà. Senza rabbia non sarei in grado di alzarmi la mattina dal letto.
Il dolore esiste, è là. Può assumere i contorni della tristezza, della malinconia (che è tristezza mista a piacere), può esprimersi con un senso profondo di vuoto, sterile, o essere un fiume di lacrime e lamenti. Il dolore ha varie sfumature e intensità. Noi tutti lo conosciamo, per quanto vorremmo evitarlo.
La paura. La paura è un’emozione che è primaria e funzionale alla sopravvivenza stessa dell’essere umano. Quando provo paura il mio corpo si predispone, immediatamente e istintivamente, a una reazione che può essere di attacco o fuga. Ci sono delle reazioni neurofisiologiche che accompagnano la paura: la tachicardia, la respirazione affannata, la sudorazione e un generale aumento del livello di arousal ovvero un’attivazione neurofisiologica che ci predispone a scappare o ad attaccare.
Com’è allora che questa emozione, spesso, è difficile da sostenere e ci porta a mettere in atto azioni, comportamenti o espressioni verbali, che non sono utili per il raggiungimento del nostro obiettivo?
Detto in altre parole, com’è che è così difficile stare nella paura e aspettare?
La paura è difficile da sostenere, stare nella paura richiede un’enorme dose di coraggio. Di tempo dedicato alla riflessione, una capacità – per niente scontata – di stare nell’incertezza, nella confusione emotiva, nel disagio estremo che può arrivare a trasformarsi in ansia generalizzata.
E non scegliere così, tanto per uscire da questa condizione spiacevole.
La paura richiede cura, attesa, pazienza e una certa dose di coscienza. Sì, coscienza.
Per cercare di essere consapevoli di ciò che ci spaventa, per non farla diventare ansia in cui ho paura di tutto, senza sapere di cosa ho, davvero, paura.
Bisogna poi domandarsi se è reale o immaginata/immaginaria, se è frutto della nostra proiezione oppure se è proprio quel che sentiamo in relazione all’altro.
Richiede la pazienza e la tolleranza verso questo nostro essere umani, fragili, indifesi e spaventati. Come a un bambino a cui da secoli abbiano detto “non c’è niente da aver paura”, ma lui ce l’ha e di certo non passerà perché qualcuno gli ha detto che è sbagliato provarla.
Potremo camuffarla, correre a schiantarci contro un tir, fingere di non sentirla, nasconderla perfino a noi stessi, ma lei è lì. A segnalarci che c’è qualcosa che non va. Avere il coraggio di scoprire cosa, di attendere che si dipani la nebbia che la paura provoca, sapere stare, accettare e aspettare. Aspettare prima di parlare o di decidere, prenderci confidenza, tenerla accanto, non come una nemica, ma come un’amica che teme per noi, e poi guardarla e rassicurarla e scegliere, consapevoli che c’è solo un modo per affrontare la paura. Uno solo. Ed è con il coraggio.
Scrivono su Una parola al giorno: Il coraggio è “una virtù ampia, come dichiara l’origine forte e generica che la lega al cuore. Il coraggio è il prestare l’ampiezza del petto all’incerto, al pericolo, al dolore – la disposizione salda al sacrificio. Il coraggio non è l’assenza di paura, ma piuttosto il giudizio che c’è qualcosa di più importante della paura.”
Quindi, paura e coraggio, come due facce della stessa medaglia. Non “o”, ma “e”.
Io ho paura e ho, allo stesso tempo, coraggio. (Fosse pure solo il coraggio di ammettere che ho paura…)
Perché come scrive Scrive Stephen Levine: “Guarire è toccare con amore ciò che abbiamo precedentemente toccato con paura“.
Ecco, oggi mi sento così, pronta a guarire.