Prima di questa quarantena in cui la vita è sospesa, attaccata a ogni singolo minuto che, vicino a un altro, forma la nostra giornata.
Prima di questa solitudine forzata, dove non puoi vedere, abbracciare, baciare e toccare nessuno.
Prima, quando i bambini indossavano il loro grembiule e li salutavi sulla soglia della scuola, quando potevi stare a bordo campo a guardarli giocare a calcio.
Prima, quanto potevi metterti d’accordo per un aperitivo con gli amici e una pizza alla Fermata, quando andavi al mare a giocare o al parco a correre.
Prima, quando ti potevi svegliare alle 6:00 per andare a praticare yoga, quando sognavi guardando tutti i voli verso chi sa dove.
Prima, quando dicevi “Questa sera non mi va di uscire” e potevi abbracciare le persone che incontravi o nasconderti per non farlo, che mica tutti sono piacevoli da abbracciare.

Prima quando potevi andare al bar a bere un caffè, invitare un amichetto dei tuoi figli a casa, andare in ufficio.
Prima.
Quando eravamo felici e non lo sapevamo.
E davamo tutto per scontato.
Adesso, invece, lo sappiamo.
Chissà quali reazioni avremo quando potremo riabbracciare un’amica o i nostri genitori. Quando i nostri figli torneranno a sedersi tra i banchi di scuola e torneranno a correre liberi, nei campi da calcio.
Chissà che reazione avremo quando potremo tornare a toccare la sabbia con i piedi nudi, aspettare insieme l’alba che quelle sono le ore più belle, sorseggiare un bicchiere di vino al tramonto.

Chissà come sarà quando saremo di nuovo liberi.
Sarà un “dopo”.
E io, oggi, ho bisogno di crederci. Di credere che allora lo sapremo.
Lo sapremo che siamo felici.
E che niente, niente, niente, è scontato.