Si chiama nostalgia, e serve a ricordarci che per fortuna, siamo anche fragili

Il silenzio a volte è più forte di mille parole. Dice tanto, senza dire niente.

È nel silenzio, di fronte al rumore del mare o del vento lieve e sospeso, che a volte è possibile trovare un senso a quello che senso non ha. Il dolore, le amicizie perse, gli errori scontati, le richieste eccessive che non possono essere soddisfatte. L’amore. Che senso non ha. L’amore che, invece, è.

Nel silenzio si coglie la meraviglia di quel che è stato e, anche, di quel che avrebbe potuto essere. Come dice Pavese “Si chiama nostalgia, e serve a ricordarci che per fortuna, siamo anche fragili”. Nel silenzio salgono parole interiori che sono frasi, dubbi, domande e poi risposte. Va bene così. È andata così.

È come smettere di spingere il fiume e lasciare che scorra, inesorabile, verso dove deve andare. Anzi, verso dove vuole andare. Non possiamo trattenere nessuno a noi. L’amore è libertà. L’amore è una danza continua tra andare e venire. L’amore è un equilibrio instabile, come una stabile instabilità.

Amare gli altri, a volte, è facile.

E amare sé stessi che è difficile. Qualcuno ha detto “noi, spesso, siamo il nostro peggior nemico”. Il mio peggior nemico sono io. I giudizi, le voci interiori, implacabili e severe. Quando forse basterebbe essere come si è. E vivere.

Gran parte della terapia si sostanzia nel guardarsi con benevolenza e nel lasciarsi guardare dagli altri. Per quello che si è, con i dubbi, le paure, i salti nel vuoto, gli sbagli che ci fanno sentire vivi, le scuse sentite che non cambiano niente di quel che è stato.

Volersi bene è provare a cercare un modo per essere nel mondo, senza più le limitazioni imposte da quelle voci interiori che ci dicono che non andiamo bene, che non siamo mai abbastanza, che siamo indegni di amore.

Volersi bene significa accettare di avere paura, di essere stronzi, di non essere così bravi e gentili e dolci come vorremmo essere. Significa accettare di avere bisogno, un disperato bisogno di amore che nessuno là fuori può darci, se non noi stessi.

Volersi bene significa trovare un posto nel mondo che è il nostro posto e quello di nessun altro e nessun altro, quindi, può dirci se quel posto va bene o non va bene per noi. Solo noi possiamo. E quando succede lo sentiamo dentro. È qui, che dovremmo stare, esattamente, precisamente qui. E in nessun altro luogo al mondo.

Volersi bene significa accettare la rabbia che a volte è fuoco interiore che tutto spinge e altre invece è incendio che distrugge e devasta. Ma la rabbia c’è. E ha tutto il diritto di esistere.

Volersi bene significa anche accettare l’amore. Che se ci guardiamo bene, ci arriva da tutte le parti. E accettare che siamo degni di questo amore, che siamo amabili.

Dell’equilibrista amiamo il coraggio e la follia di fare quel salto nel vuoto. È lì che stiamo col fiato sospeso.

Che è come fare un salto nel vuoto della libertà di essere, esattamente come si è. Con tutte le sfumature di dubbi e bellezza. Con le indecisioni, le certezze perse, solo il sentire a guidare un modo di essere, di vivere e lasciar andare.
Anni a conquistare e ora, invece, sentire che è fondamentale lasciare andare. Non trattenere, non provare a recuperare, semplicemente stare e attendere e guardare le albe e i tramonti e vivere. Vivere.

Da sempre l’uomo si interroga sul senso della vita. Che senso ha la vita? Non so, a me sembra, che l’unico grande senso che possa avere sia di vivere, appunto. Di lasciarsi attraversare dalle emozioni, dai sogni appesi, dal senso di quel che ancora senso non ha. Il senso mi sembra possa essere dare tutto l’amore di cui si è capaci e prendersi cura di sé stessi e degli altri. Di provare a diventare quel che si è. Esattamente e semplicemente quel che si è.

Oggi è un giorno nuovo, ieri è stato, domani chissà.
Oggi, qui, io voglio essere viva. Con tutta la difficoltà e l’emozione che questo comporta.
Questo è il senso della vita, o almeno, lo è della mia.

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