Questo dolore che mi abita resta, imperterrito e imperituro. Rimane, come un tempo lunghissimo e sospeso. Mi lascia respirare a tratti, brevi. Ho momenti di vuoto e di respiro corto, bloccato. Le lacrime vorrebbero scendere e io, non so perché, le trattengo.
Poi, lente, cadono dagli occhi e rigano le mie guance. Inesorabili, come inesorabile è lo scorrere del tempo. I giorni passano e lasciano tracce indelebili sul mio corpo, sul viso, sui sogni interrotti e quelli ancora da scoprire.
Abitarlo questo dolore. “Arreda il tunnel intanto che cerchi un’uscita”, dicono. Così provo a fare io. A cercare il bello e il buono, i colori accesi, il sapore dolce e poi quello amaro. Provo a ridere, abbracciare forte, chiedere aiuto, offrire il mio.
Che fatica questa vita sghemba, fatta di passi falsi e di cuore buttato in ogni dove. Che fatica essere umani e diventare grandi, grandi davvero. Adulti. Responsabili di sé e delle proprie azioni.
Vorrei saper essere come quelli che si sentono meglio, mentre in questo deserto di solitudine della mia anima c’è spesso, invece, tutta l’inadeguatezza dell’essere umana. Maledettamente e disperatamente umana.
Il tempo cura ogni cosa. Il più è saperlo accogliere questo tempo lento, fatto di niente, se non stare che forse sembra poco e invece è tutto. Talmente tutto che è la cosa più difficile di questi miei anni.
Colmare quel vuoto che abbiamo dentro, che ognuno di noi ha dentro. Che non ci lascia e mai ci lascerà. Arredare il tunnel, mettere un campanello fuori che non si sa mai che qualcuno, ogni tanto, ci voglia entrare con me. Mettere anche una pianta di fiori dai mille colori che accolga chi arriva e chi ha il coraggio di restare.
Sentire tutto. Sentire tanto. E stare. Oggi, qui. Con questo dolore che forse non è solo il mio, ma un po’ sì. Lo è. E accettare che oggi sto male, domani chissà. Forse avrò solo, di nuovo, voglia di vivere l’amore e ridere. Ridere. Ridere ancora.
Io vado a fare e
faccio
che vado,
perché ho giusto qui
una vita, qui
un cuore.
E mi pare
si muoia più a non vivere
che a morire.
Beatrice Zerbini