Scegliere, bellissima parola. Ogni giorno, più volte al giorno, anzi quasi ogni minuto ci troviamo di fronte alla possibilità, o meglio, al dover necessariamente compiere una scelta. Scegliere, quindi.
Se rimanere fermi oppure muoverci, se rispondere o tacere, se fare quel salto che tanto ci spaventa oppure voltarci e tornare indietro.
Non importa. Importa il fatto che la vita sia una sommatoria di diverse, microscopiche o mastodontiche, scelte. Continue e quotidiane.
Sono davvero poche le situazioni in cui non abbiamo scelta e coincidono con quelle in cui non abbiamo libertà, quando cioè siamo obbligati a stare o subire una situazione, più o meno violenta, e sicuramente insostenibile.
L’etimologia della parola scegliere viene dal latino: ex-eligere scegliere da. Cito da Una parola al giorno:
“È l’espressione positiva della volontà. La scelta può essere difficile, ma ha il vantaggio, alla fine, di non essere una via residuale: resta sempre un indice puntato verso una fra le tante strade che la propria volontà detta, una camminata ferma, contenta di questa espressione di sé priva di angoscia”.
E ancora da Etimo italiano: “L’etimologia della parola scelta, participio passato sostantivato del verbo scegliere, si ricollega al verbo latino ex-eligere. Ex = da + eligere = selezionare, preferire. Infatti, scegliere significa decidere cosa o chi va selezionato e preferito rispetto ad altro/altri che costituiscono “l’ex” rispetto al quale effettuare la scelta. In ogni scelta, pertanto, è insita una rinuncia, come recita il noto brocardo. E non solo, ogni scelta, se autentica, è anche un atto di libertà e di responsabilità e viceversa: un atto di libertà e di responsabilità non può non configurarsi che come autentica (libera) scelta”.
Ed eccoci al punto.
Scegliere è certamente massima espressione della nostra libertà, ma anche e necessariamente, un atto di coraggio che comporta il lasciare andare. Lasciare andare quello che non si sceglie, non trattenerlo per sé, anche perché è impossibile.
La parola e l’atto di scegliere includono inoltre la responsabilità connessa alla scelta stessa che abbiamo fatto. Se scelgo di restare, invece che di scappare da me, dal mio sentire, dal mio essere come sono, senza più rifuggire le mie responsabilità del fatto che io sono come sono, in questo esatto momento, e tu sei come sei, e che questo può aprire un baratro tra noi o un incontro magico di contatto e condivisione che forse – ancora di più – spaventa, come spesso accade con la meraviglia della vita.
E, allo stesso tempo, scegliere implica per forza anche lasciare andare, qualcosa che non voglio più, che non mi appartiene, che non ho – appunto – scelto. Scegliere, quindi, è essere liberi, responsabili di sé stessi e delle proprie scelte, scegliere è anche rassegnarsi al fatto di non poter avere tutto.
Ogni scelta ha dentro di sé un prezzo da pagare. Un costo da sostenere. Qualcosa che non abbiamo scelto e perciò viene perduto.
Scegliere è alla base stessa di quel che per me è la Gestalt. La consapevolezza del sentire, certo, è il primo passo fondamentale. Il riflettere cognitivo su ciò che penso di ciò che sento è altrettanto necessario, altrimenti non saremmo esseri pensanti. E poi scegliere. Scegliere di fare o non fare, di stare o andare. Di perdonare oppure no. Di perdere. Abdicare. Fermarsi. Oppure no, conquistare, tenere il punto, mantenere la posizione o prendere spazi.
Non c’è una scelta giusta e una sbagliata, ma ci sono scelte etiche. L’etica ha a che fare con il senso del “buono” e del “bello”. Cosa è buono e bello per noi, ma anche cosa lo è per gli altri. Ogni scelta, infatti, ha un effetto e una conseguenza, personale ovviamente, ma con riverberi anche su chi ci circonda.
Quindi, con una parola di sole 9 lettere, si apre e spalanca un mondo. Un mondo fatto di responsabilità (in Gestalt si parla di respons-ability ovvero l’abilità di rispondere rimanendo in contatto con quel che sento, ora, qui, in relazione a quanto mi accade, con la convinzione che sarò in grado di trovare una risposta creativa, in cui il tutto è necessariamente più della somma delle sue parti).
Un mondo in cui siamo responsabili delle nostre scelte, di quel che otteniamo e anche di quel che perdiamo. Non voglio certo sostenere che le cose non accadano e che, talvolta, anzi forse spesso, siano spiacevoli, dolorose, ma che ci pongano di fronte a un’alternativa, implacabile: scegliere di restare dentro di noi oppure cercare di sfuggirle con il pericoloso rischio di “non sentire” e, forse, di auto annientarsi o perdersi.
Dice, meglio di me, Matteo Bussola “La vita è quel che accade, anche se è fatta di quel che scegli. E con quello che accade hai in genere solo due alternative: abbracciarlo con tutto te stesso oppure andare via.
Ho a lungo creduto che la libertà che serve fosse quella di un marinaio sempre pronto a prendere il mare. Invece oggi so che la libertà che scelgo e la forza che conta, quell’orizzonte che sentivo di dover cercare ogni volta più lontano, non si fondano sull’attitudine a partire.
Ma sull’abitudine di restare.”
Per ogni scelta, per ogni “cosa” persa.
Per tutte le volte che abbiamo avuto paura, ma alla fine abbiamo avuto il coraggio di farlo.
Scegliere, parola davvero bellissima. Di libertà, responsabilità e malinconia. Per quel che avrebbe potuto essere e non è stato. E di gioia anche. Gioia per aver avuto il coraggio di scegliere e di farlo ancora una volta. Consapevolmente.