Sardegna, quel che mi rimane è…

Un ricordo sbiadito di giorni appena passati. Il blu intenso di un mare che spaventa da tanto è limpido. Le onde alte e la spuma lieve che si frange sulla battigia. I sassi fastidiosi tra i piedi e il silenzio di una notte nera. E due occhi di cervo che ti fissano placidi.

Il terrore nel sentire il ruggire sordo del mare di notte, lì di fianco a te all’improvviso. Immenso e spaventoso. Un cielo di stelle che così luminoso io non l’ho visto mai. Un gregge di capre che ti sbarra la strada e lo scampanio festoso delle loro campanelle. La luce del giorno, accecante e bianca, come un abbaglio continuo. Le case e le miniere abbandonate. Suggestive e innaturali e tanto, tanto tristi.

La pioggia torrenziale e le capre e la strada bloccata

Una miniera abbandonata

 

La gioia di sentire il vento e la salsedine sulla faccia e i capelli scompigliati sugli occhi da spostare via con una mano.
Il silenzio temibile dove non c’è città. E il buio. Un buio vero, senza luci e che tutto ovatta e trasforma.

Una strada persa di notte. Il guado di un fiume su uno sterrato che non si passa, non con due bambini addormentati in auto a mezzanotte passata. Le dune selvagge e ancora cervi, che appaiono e scompaiono come in un sogno, fantastico e inquietante.

Sabbia spessa che non si stacca

Gli amici in spiaggia sotto una tenda. La sabbia che ti si attacca addosso e non si stacca più. E ancora vento e vento e vento e cavalloni troppo grandi che mettono paura. Mio dio, se mettono paura.

Mare, mare e ancora mare (a Piscinas)

 

Un mare calmo e la gioia di mio figlio che sguazza e ride e dice “Mamma, buttati!”. Il sole che scotta e un giorno intero di pioggia torrenziale che non lava, distrugge. E la paura, nel sentirsi così soli in due, anzi in quattro, ma due hanno solo bisogno di braccia forti e calde dove riposare e nascondersi da tutto.

Le dune e le montagne dietro la spiaggia di Piscinas

 

Gli amici persi. Quelli che c’erano e quelli che non c’erano. Il polipo. L’orata. Le areselle e la bottarga. I dolci sardi che non sono dolci. Le chiacchiere a mezza voce. I sorrisi di sempre, cerchiati ormai dalle prime rughe.

Il tempo che passa e noi che diventiamo irresponsabilmente grandi. E tutte quelle rinunce e i sogni persi e quelli avverati. E le mille strade prese. E noi, qui, ognuno con i suoi occhi sul futuro che ha o che spera di avere.

Ecco cosa mi resta della Sardegna e di quel cielo di stelle, che così di stelle io non ne avevo viste mai, che ti cadono addosso e tu senti, lì senti, lo stordimento di tutta una vita e capisci il senso del vivere: solo vivere e basta.

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